Alessandro Mari, TROPPO UMANA SPERANZA

IL LIBRO. Uno sguardo a tutto tondo sull’Italia preunitaria attraverso il dipanarsi delle storie di più protagonisti, le cui vite si sovrappongono e si intersecano nel fluire degli avvenimenti che porteranno alla realizzazione dello stato unitario. Colombino come Renzo affronta un viaggio, il carcere per amore di Vittorina. Scopre la passione che possono suscitare le parole libertà, nuovo mondo, e le fa sue. L’umanità e la femminilità di Anita ci rivelano l’altro lato del generale, calato nella quotidianità fatta di passioni condivise con la donna amata. La forza dell’amore e della speranza, dunque, guida le vite dell’ingenuo Colombino, di un intrepido Garibaldi, della struggente Anita, del carnale Lisander, e della determinata Leda, suscitando l’apprensione e la condivisione in chi avverte forte la nostalgia dei grandi sentimenti che muovono il mondo. L’Italia, come ci è stata consegnata, emerge nel suo farsi attraverso coloro che si spendono, si danno, per vedere costruito quel nuovo mondo la cui idea li ha infiammati. La Storia incontra la vita, quella vita che, come sottolineava Manzoni, trascurata dagli storici pulsa, invece, nelle pagine dei romanzieri. E qui pulsa davvero nella sua pienezza, scandita dalle stagioni della campagna lombarda e quelle dei giovani cuori, dall’esuberanza screziata di una vecchia Roma papalina e quella avvenente della fisicità femminile. L’Italia, che ancora non è, sottende ogni pagina e diffonde la sua urgenza di nascere restituendoci un Risorgimento umano, finalmente “troppo” umano.

Alessandro Mari, Troppo umana speranza, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 747

LA CITAZIONE. «Sono orfano e vorrei sposare una ragazza, Vittorina è il suo nome, ma la madre non vuole concedermela. Dice che non ho nulla da offrirle perché sono un figlio bastardo, un semplice menamerda, ma io giuro che l’amerei e l’onorerei [...]».

S(HORT) M(EMO OF THE) S(TORY). Quattro storie diverse, diversa l’Italia, una sola la speranza…

IL PERSONAGGIO. Aveva dovuto fare tutta quella strada, giungere fino in SudAmerica, ma l’aveva trovata. Le cose a cui era destinato erano grandi, ma serviva un motore primo, minuto e femmineo, e lui si convinse di averlo scovato.

a cura dell’I.I.S. Von Neumann, Roma

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