Alessandro D’Avenia, COSE CHE NESSUNO SA

IL LIBRO. Nessuno conosce la forza che sostiene le storie, che ci appassiona a un intreccio e ci fa scorrere febbrilmente lo sguardo su pagine e pagine alla ricerca di uno specchio per scrutarci di sbieco, attraverso le iridi di un’altra persona. Consapevole di intraprendere una ricerca inarrestabile, Alessandro D’Avenia tenta di racchiudere questa forza tra le righe del suo Cose che nessuno sa. Protagonista indiscussa di queste righe è la passione, che anima le pagine più statiche del romanzo, dando un senso ad una concatenazione di eventi altrimenti prevedibile e scontata. Tutto comincia con un puzzle devastato, con la deformazione della tessera di Margherita, mutilata dall’abbandono del padre. Da qui un’Odissea, alla ricerca della cura per un dolore che pur lacerando la carne, custodisce nel suo grembo il valore dell’esistenza. Nuovi e vecchi saranno i compagni di questa avventura, sostegni nel suo disperato tentativo di trovare l’equilibrio giusto per danzare sul filo tremante della vita. Siciliana di origine e di cuore, Nonna Teresa mescola amore e saggezza nelle sue prelibatezze culinarie, che hanno il sapore dolce di un abbraccio e l’amaro della nostalgia, perché “se non ci metti u sangu e u cori nelle cose che hai accanto, la vita non riesce”. Solo lei può  indirizzare la nipote su quelle strade difficili da percorrere, ma che anche per questo a lungo andare si riveleranno quelle giuste. Il fratellino Andrea, piccolo filosofo di cinque anni corrucciato nello sforzo di contare fino a persempre e la spumeggiante e caotica Marta, con la sua chiassosa famiglia di pazzi, sono gli unici capaci di ridare colore ai pensieri più grigi. Il professore agisce con l’insicurezza di chi lotta con un congiuntivo, per evitare di pronunciarlo lo nasconde dietro una cortina di indicativi ben costruiti e solidi. L’eventualità rimane un’aspirazione remota, da utilizzare in quell’imprecisato futuro in cui sarà finalmente convinto di padroneggiarla. Insaziabile lettore, non riesce però a conciliare la parola scritta con il reale, lasciando quindi che essa lo tormenti nei sonni, ma non nei sogni. Il suo nome, mai menzionato, contribuisce a rendere sfuggente e idealizzata la sua figura, persino quello della sua ragazza, Stella, sfugge ai legami con la quotidianità, rimandando  ad un astro capace di indicare la via del ritorno per chi è disperso in un mare in tempesta. Giulio ha l’eleganza e la fragilità di una ballerina classica sul palco, sfolgorante nella sua perfetta armonia, dietro le quinte, tremante per il dolore alle ossa e l’emozione. Come una ballerina ha bisogno di attimi di respiro, avanza in punta di piedi, si nasconde per guardare le stelle, dominare la città da un attico di cemento armato ed esprimere in versi quello che il pubblico non vuole vedere. Le rete dei personaggi è frutto di una profonda analisi psicologico-emotiva che coinvolge nei conflitti più intimi di ogni protagonista, regalando il surreale panorama di tante anime in relazione tra loro. Le storie si incontrano, si scontrano, e si ricompongono in un’armonia perfetta, forse  eccessiva perché costruita su un dolore che non è altro che un amore troppo grande. Chi legge percepisce un sentore di estraneità, e viene spontaneo chiedersi se è realtà o pura finzione letteraria. Ma queste sono cose che nessuno sa. (Alessandro d’Avenia, Cose che nessuno sa, Mondadori 2011).

LA CITAZIONE. «Ci sono parole come conchiglie, semplici, ma con il mare dentro».

IL PERSONAGGIO. Come un piccolo esploratore senza bussola, il fratellino Andrea indaga la vita,ancora incapace di notare la perfidia che gioca a nascondino dietro la sue paure. Per orientarsi colora, disegna l’anima della realtà, riservandosi i paesaggi più belli per quando possiederà tutta la gamma di sfumature. Senza neanche conoscere l’algebra, semplifica la vita e le sue equazioni, lasciando che nel suo cosmo la nonna diventi un pesce rosso, e i suoi timori mostri che al buio divorano la sua solitudine.

S(HORT) M(EMO OF THE) S(TORY). Se la vita fosse una fune, vi danzerebbero sopra funamboli senza gambe e senza braccia, legati dal dolore, dall’amore e dai sogni, leggeri, precari e profondi come le pagine di un libro.

a cura del Liceo classico Aristofane, Roma

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