Intervista a Eraldo Affinati

Eraldo Affinati

L’INTERVISTA. L’autore di Peregrin d’amore (Mondadori, 2010) risponde alle domande degli studenti del Liceo Classico Virgilio di Roma.

Come le è venuta l’idea di scrivere un libro come Peregrin d’Amore?

Un giorno alcuni miei studenti afghani della Città dei Ragazzi, dove insegno italiano e storia, mi chiesero chi fosse Marco Polo, a cui era intitolato il padiglione della casa in cui erano ospiti. Risposi dicendo che si trattava di un mercante veneziano che aveva compiuto il percorso inverso rispetto a quello che avevano fatto loro. Restarono sbalorditi. Quando spiegai il Milione a questi minorenni azara, discendenti delle stirpi di cui parla Gengis Khan, mi resi conto che la stessa cosa avrei potuto realizzare con altri grandi scrittori italiani: trovare un luogo significativo, andarci e far risuonare dentro di me le pagine dei nostri classici.

Quanto tempo ha impiegato a scriverlo?

Per fare i viaggi descritti nel testo, un paio d’anni, ma ho utilizzato anche materiali preesistenti, quindi potrei dire che ci ho impiegato gran parte della mia vita.

Perché ha deciso di suddividere la narrazione di ogni autore in due “tempi”?

Il prologo, molto breve e composto in prima persona, è una specie di avvicinamento, quasi una scintilla per accendere l’attenzione. Ad esempio, San Francesco a Nagasaki, oppure Goldoni a Parigi. Il capitolo vero e proprio invece, assai più lungo e composto sempre in seconda persona, entra direttamente nel vivo del racconto. A me piace la simmetria. È come se cercassi una gabbia per essere libero: sembra un paradosso, ma corrisponde al mio stile.

Ha realmente visitato tutti i posti che descrive?

Sì, tutti, tranne Zante, che infatti emerge solo nell’evocazione fatta insieme al mio alunno Hafiz, in avvio foscoliano. Alcuni di questi luoghi li avevo già descritti in altri libri: l’India in Secoli di gioventù, la Russia e il Giappone in Compagni segreti…

I personaggi che incontra sono reali o frutto dell’immaginazione?

Orlando a Lampedusa e Clorinda a Gerusalemme sono naturalmente immaginari. Il vecchio professore che parla col narratore a Lido di Dante è una sintesi fantastica di diversi insegnanti, così come mio padre che prende la parola al posto del Belli. Gli altri incontri sono tutti veri, anche se hanno subito una trasfigurazione stilistica.

Se li ha realmente incontrati ha mai fatto leggere loro ciò che ha scritto? Qual è stata la loro reazione?

Hermal, dopo aver letto la storia del nostro viaggio in Albania sulle tracce di Mario Rigoni Stern, ha sgranato gli occhi mostrando un’espressione di sorpresa indicibile. In genere, quando qualche lettore ritrova sé stesso nelle pagine dei miei libri, la sua reazione è sempre intensa. Proprio ieri ho rivisto Jonut, al quale avevo attribuito il ruolo di Ranocchio nel capitolo verghiano. Mi ha abbracciato in segno di riconoscenza, quasi che io, semplicemente nominando il suo nome, gli avessi regalato una nuova dignità.

Perché ha sentito l’esigenza di attualizzare la letteratura italiana nel suo libro?

Mi piacerebbe che la letteratura italiana non fosse soltanto relegata nei programmi ministeriali. Vorrei che fosse carne viva, non polvere di biblioteca. Sarebbe bello se, dopo aver letto Peregrin d’amore, qualche studente come voi, anzi studentesse, che mi state rivolgendo queste domande, fosse spinto a riaccostarsi in modo nuovo a un sonetto di Leopardi, o a una poesia di Pascoli. Pensa se uno scoprisse Beppe Fenoglio, o Silvio D’Arzo, grazie a questo libro! Se accadesse, per me sarebbe il massimo.

Qual è il suo autore preferito? C’è un autore/personaggio in cui si è identificato?

Il mio autore preferito? Come si fa a dirlo? Penso alla letizia di San Francesco, allo spirito avventuroso di Marco Polo, alla sapienza di Dante, al tormento di Petrarca, alla vitalità di Boccaccio, al disincanto di Machiavelli, alla fantasia di Ariosto, alla potenza lirica di Tasso, al groviglio filosofico di Bruno, alla lucidità di Galilei, al furore di Campanella… Comunque il cuore intimo di Peregrin d’amore è il capitolo sul Belli, scritto tutto in dialetto romanesco: lì, attraverso mio padre, ci sono dentro io.

Con che criterio ha selezionato i vari autori di cui tratta?

Ho seguito il manuale scolastico. Sono tutti autori obbligati. Nel Novecento invece ho dovuto fare delle scelte, legate al mio gusto personale. Non si tratta di una storia della letteratura italiana, ma di un’avventura dello spirito.

Socrate colse la morte come una sorta di viaggio ultraterreno e “interdimensionale”, attraverso il quale l’uomo, giunto in un ipotetico Aldilà, avrebbe avuto modo di incontrare le grandi menti del passato. In questo viaggio in motocicletta possiamo cogliere una personale curiosità di conoscere gli autori e i personaggi della letteratura italiana?

Sì, anche se i grandi autori in fondo sono sempre vivi dentro di noi: basta interpellarli. Comunque ho usato la moto – Honda Transalp – soltanto nel capitolo francescano!

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