Eraldo Affinati, PEREGRIN D’AMORE

IL LIBRO. Seguendo le strisce dipinte sull’asfalto della strada, Affinati ripercorre i luoghi della letteratura italiana: a Nagasaki, tradita dalla bomba atomica, ritrova lo spirito francescano; racconta il Cantico delle Creature a una ragazza nigeriana; nella chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo, a Roma, riscopre la tomba di Torquato Tasso e a Gerusalemme incontra la misteriosa Clorinda che, in una terra dilaniata dalla guerra e dall’odio, nell’ultima ora gli ricorda il perdono. E ancora a Bosisio ritrova Parini che, sebbene in povertà, fu libero. Incontra il paladino Orlando, ascolta Foscolo raccontarsi, diventa Renzo, insegue Leopardi, si avvicina a Levi.
Spostandosi di città in città, Affinati crea una cornice dai confini incerti al cui interno incastona nuovi paesaggi, nuove città, nuove persone. Quasi seguisse un filo invisibile intreccia, con la maestria di un arazziere, lo spazio e il tempo in una dimensione atemporale e infinita.
Il suo viaggio comincia a Castel del Monte, maniero di Federico II, «in uno spazio senza tempo, come una bellezza sordomuta che, nel momento stesso in cui ci seduce, si allontana da noi»; dalle pareti spoglie trasudano voci, mormorii, accozzar di brandi su maglie, fruscìo di vesti, schiamazzi di tornei, «la colonna sonora che celebrò la nascita dei primi capolavori».
Come Omero e tanti ancora prima di lui, ha una missione: rievocare gli spiriti della letteratura italiana e, attraverso le testimonianze dei luoghi, delle strade, dei palazzi o nel viso di un bambino, di un anziano, di una donna, farli rivivere. Si pone così l’ambizioso progetto di «indagare lo scarto fra l’arte e la vita». Attraverso le pagine di Affinati la letteratura italiana, il nostro immenso patrimonio culturale riprende vita e si attualizza, esce dai confini nei quali è circoscritto, relegato, accessibile a pochi, ignorato da molti, e fiorisce ancora, ancora una volta vive, insegna, perché «la letteratura può essere una luce davanti a noi». Affinati, riprendendo le parole di Dante, è «peregrin d’amore», viaggiatore che soffre d’amore, soffre perché ama la letteratura e i luoghi della letteratura che la rievocano e si commuove, si esalta in un sentimento che è quasi sorpreso della sua stessa forza. Mediante una prosa asciutta che in un primo momento disorienta, come fosse in dissonanza con l’aura ultraterrena che circonda le pietre miliari della letteratura italiana, riesce invece ad avvicinarci; utilizzando un ritmo costante, periodi brevi ma carichi di un’elegante semplicità, abbatte il timore dei colossi che costituiscono le nostre origini e la nostra storia. Il viaggio si conclude ma apre le porte a tanti altri viaggi in mondi lontani, in tempi lontani divenuti ora però sorprendentemente vicini.

Eraldo Affinati, Peregrin d’amore. Sotto il cielo degli scrittori d’Italia, Mondadori, Milano 2010, pp. 409.

LA CITAZIONE. «È come se, nelle fitte tenebre, lo straordinario pellegrino accendesse sotto le facce dei personaggi un fiammifero per illuminare meglio.»

S(HORT) M(EMO OF THE) S(TORY). Affinati percorre le strade della letteratura alla ricerca dell’identità italiana e tra incontri reali e fantasmi letterari sfreccia da S. Francesco a Pasolini.

IL PERSONAGGIO. Un anziano siede di fronte a Villa Kaos ad Agrigento, casa che fu di Luigi Pirandello. La sua figura ricorda quella di molti anziani che, in luoghi diversi e in tempi remoti, custodiscono segreti impenetrabili. Ha lo sguardo smarrito di chi «non sa se ha vinto o perso tutto e resta in attesa», come Don Cosmo, personaggio dei Vecchi e Giovani, quando dice: «Una sola cosa è triste, cari miei, aver capito il giuoco!». Sembra aver compreso le regole del gioco, ma qualcosa dentro continua a deriderlo.

a cura del Liceo Classico Virgilio, Roma

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