Cesare Pavese, LA BELLA ESTATE

IL LIBRO. Nel capolavoro La bella estate l’autore sceglie di parlare della stagione più calda dell’anno, di Torino, di una ragazza, Ginia. Cesare Pavese parla di quanto la gioventù sia fragile ed indifesa, di come la tentazione, l’arte e l’amore siano componenti fondamentali, e spesso significative, per chi ha ancora tutto da scoprire davanti a sé. Ginia inizialmente vive questa stagione come un risveglio, un tumulto di desideri e divertimenti capaci di trascinarla via dalle responsabilità del suo mondo. L’innocenza di una ragazza di sedici anni che si gode il periodo della sua adolescenza in modo verginale, nuovo, ancora da scoprire. I sabato sera passati a ballare, le ore notturne riempite di grosse risate e chiacchiere bisbigliate sotto la luce di un lampione all’orecchio dell’amica più sincera, le passeggiate vicino alla campagna. Nel corso della vita della protagonista fa breccia l’esperienza e la disinibizione di Amelia. È la fine della verginità del suo animo. Pennelli, acquarelli, giochi di luce e pose colorano la vita delle due, proiettando l’adolescenza di Ginia in un futuro in cui l’innocenza è macchiata come la tela di un pittore che abbozza i suoi primi schizzi. Amelia è più esperta, preparata agli ostacoli e in continua lotta anche con le conseguenze delle sue scelte, sa come mordere e come farsi mordere dalla bocca del mondo. Per Ginia invece è tutto nuovo, mai assaggiato dalla sua semplicità.

L’estate è l’amore, l’inverno è la fine.

L’amore si chiama Guido, è un pittore, un vecchio amico di Amelia, un uomo che ha assaggiato i colori della vita e veduto i corpi delle modelle che hanno posato per lui. Le donne, per Guido, sono nate per essere nude. Ginia si lascia invadere dalla sicurezza che il suo uomo apparentemente le dona, si lascia attraversare dalle sue attenzioni e dalle serate passate insieme, addormentati, abbracciati dietro la tenda dello studio. L’ingenuità di aver coronato il sogno, di aver finalmente colmato un vuoto esistenziale, è solo, senza altre parole, ingenuità. La fine avviene un giorno quando, dopo aver visto Amelia posare per Guido, anche Ginia si propone di voler farsi ritrarre nuda. Si offre priva di ogni difesa, con la timida volontà di mostrare debolezza e fragilità gli occhi del suo amore, a cui consegna il corpo, le sue paure, se stessa. È la posa di un’anima inviolata e semplice come l’acqua che d’estate scorre placida in un ruscello che però, all’improvviso, viene sporcato, inquinato. Rodrigues, l’amico di Guido, apre la tenda e Ginia, assalita dalla vergogna, fugge via da quella realtà, riempiendosi le orecchie delle parole dell’ amato: «Lasciala stare, è una scema». Nulla tornerà mai al proprio posto, ogni cosa che si rompe non si riparerà mai come prima. Cocci di un inverno che vanno riuniti con il collante dell’Estate. Solo Amelia resterà con Ginia nell’attesa che un’altra Estate svegli dal letargo del vuoto invernale. (Cesare Pavese, La bella estate, Einaudi 1950)

IL PERSONAGGIO. Ginia ha solo sedici anni, ma ha già la responsabilità di un lavoro e di un fratello più grande di cui si deve prender cura. È una ragazza come le altre: le piace divertirsi, andare a ballare, passeggiare con le amiche; è desiderosa di crescere e di scoprire ciò che la vita le riserva, ma è troppo ingenua per poter far parte del mondo delle donne adulte. Si lascia trascinare da Amelia nel mondo dell’arte, che non le appartiene. È affascinata dalla sicurezza di Amelia e da quel nuovo ambiente di cui non vede gli orrori e l’immoralità che lo caratterizzano. Si lascia incantare dalla figura attraente di un giovane pittore, che si prederà gioco di lei. Quando aprirà gli occhi si renderà conto di quanto quel mondo che le sembrava cosi magico, sia in realtà vuoto e pieno di insidie.

LA CITAZIONE. «Si divertiva a pensare che l’estate che aveva sperato, non sarebbe venuta mai più. Perché adesso era sola e non avrebbe parlato mai più a nessuno ma lavorato tutto il giorno».

S(HORT) M(EMO OF THE) S(TORY). L’ardore di una sedicenne di nome Ginia che,nel farsi subito donna,trova nella stagione più calda una metafora della sua gioventù.

a cura del Liceo scentifico Labriola, Roma

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